Un po' di storia

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FACCIAMO UN PO’ DI STORIA SCOLASTICA
NELLA FARMACOLOGIA

Gli studenti di qualche anno fa hanno visto attuare la riforma universitaria che, inizialmente, ha trasformato tutti i corsi di laurea quadriennali in quinquennali introducendo le cosiddette lauree brevi etichettate come 3+2 in quanto suddivise in due parti con competenze e sbocchi professionali diversi.
Successivamente un ulteriore rimaneggiamento ha ribattezzato le lauree brevi “lauree triennali”, alle quali fanno seguito le lauree magistrali della durata di due anni.
Adesso si parla di 3 e 2 per le possibilità di “modellare” almeno entro certi limiti il corso di studi combinando lauree triennali e lauree magistrali allo scopo di produrre nuove figure professionali.
Da questa riforma “a tappe” sono state esonerate le lauree sanitarie giacché né i medici né i farmacisti possono prevedere tappe intermedie; anche a voler forzare la mano, per un medico la fase intermedia potrebbe essere rappresentata da quella dell’infermiere professionale, ma la riforma ha previsto la laurea triennale per detta professione mantenendo ben definiti i limiti e i doveri delle due professioni.

Anche la professione del farmacista non può essere sezionata in due livelli, dunque, per la facoltà di farmacia, la riforma si è tradotta in un allungamento del corso di studi da quattro a cinque anni con un ovvio aumento del numero degli esami di profitto per il conseguimento del titolo.
Nel mondo studentesco si è dapprima distinto il vecchio ordinamento dal nuovo, ma con la riforma della riforma, si è venuto delineando l’improprio modo di etichettare i corsi di studio come vecchissimo ordinamento, vecchio ordinamento e nuovo.
La storica laurea quadriennale in farmacia appartiene, quindi, al vecchissimo ordinamento, quello per il quale occorrevano diciotto esami per poter discutere la tesi e nel quale, al quarto anno, si seguiva il corso di farmacognosia e farmacologia, una delle materie più importanti ai fini della professione di farmacista.
Nel corso della trattazione, veniva dato molto risalto alla farmacognosia, madre indiscussa della più recente farmacologia, innovativa, ricca di spunti per la ricerca al fine di trovare principi attivi sempre più potenti, più sicuri, più efficaci, più mirati.

La ricerca di nuovi principi attivi ormai è rivolta alla cura delle malattie del nostro secolo, di recente definizione, mentre per i principi attivi ormai noti e consolidati si sono aperti nuovi orizzonti nello studio delle formulazioni.
Alle formulazioni a rilascio controllato o ritardato, hanno fatto seguito altre innovazioni tra cui, tra le più recenti, l’uso delle nanotecnologie per veicolare il principio attivo più velocemente possibile nel luogo d’azione, limitandone la dose e gli effetti collaterali spesso indesiderabili e risolvendo non pochi problemi di biodisponibilità.

Lo studio e l’applicazione delle nuove tecniche di produzione dei medicinali hanno fatto dimenticare che l’origine resta nella farmacognosia, quella materia che molti decenni orsono ha riconosciuto ed identificato una quantità di principi attivi naturali dai quali sono derivati i farmaci di uso comune.
Inizialmente ai principi attivi naturali hanno fatto seguito i farmaci di semisintesi che, partendo dalla struttura del prodotto naturale studiavano e valutavano la modificazione di parti della molecola originale al fine di trovare prodotti più sicuri e più efficaci.
Ne sono un esempio le penicillina. Successivamente si è sostituito totalmente o quasi il prodotto di semisintesi con quello di sintesi, interamente prodotto in laboratorio.